Attualità e Notizie

«Il sorriso dei malati ci porta alla Grotta»
inserito il 18.08.2015

La testimonianza del responsabile del servizio medico. Il dottor Martin Zogg di Cadro, da anni viene in pellegrinaggio. «Lourdes mi ha insegnato la preghiera di intercessione per i miei pazienti». Qui «ho anche capito che se è bello dare, la sfida più grande è imparare a ricevere».

«I nostri malati hanno vissuto bene il viaggio» ci assicura il dottor Martin Zogg, medico luganese che per la settima volta è a Lourdes con il pellegrinaggio della Svizzera italiana. Quest’anno il dottor Zogg vive Lourdes con un compito in più, quello di responsabile del servizio medico che conta oltre a lui altri 8 colleghi. Insieme si occupano di un’ottantina di malati della Svizzera italiana. Ma c’è anche chi tra loro svolge servizi esterni rispetto al pellegrinaggio, come ad esempio quello alle Piscine o chi partecipa da semplice brancardier.
Certamente è degno di menzione che un medico trascorra le sue vacanze per fare volontariato ancora tra i malati, quando i pazienti li incontra per tutto l’anno... Trovo il dr. Zogg negli spazi del Santuario di Lourdes, quando il nostro pellegrinaggio si è già sistemato e il viaggio è alle spalle.

Dr. Zogg, lei cosa incontra a Lourdes, per ritornarvi?
Per la mia vita? Forse due cose. La prima è questa: ho capito che è bello aiutare il prossimo, l’ammalato. Fin qui la risposta è banale. Ma perché avrei lavorato come medico? A Lourdes però ho soprattutto capito che è più difficile lasciarsi aiutare che aiutare l’altro. È sicuramente più facile andare a Lourdes con la coscienza da buon samaritano, ed aiutare. Poi non è sempre vero: non è sempre facile, perché dobbiamo imparare a mettere il prossimo al centro e non noi stessi.

È comunque gratificante. Imparo sempre dagli ammalati: come convivere con la malattia, come vivere la dipendenza, come accettare l’infermità, come prepararmi alla morte. Papa Francesco quando era alle Filippine, nel gennaio di quest’anno, ha detto: “Sapete donare, ma non sapete ricevere.” La domanda che mi pongo in continuazione è questa: se mi ammalassi seriamente, tornerei a Lourdes come ammalato, lasciandomi coccolare dai volontari e consolare da Gesù? Sarei capace di ricevere?
Si dice che è più bello dare che ricevere. D’accordo. Ma è più difficile ricevere che dare.

E la seconda cosa che ha trovato qui a Lourdes?
La seconda cosa che ho trovato per la mia vita è pregare per gli altri. Ogni anno vado a Lourdes con una lista di nomi di miei pazienti a cui ho promesso di pregare per loro. Mi ritiro da solo, nella piccola cappella della basilica sotterranea Pio X e prego per tutti. Lourdes mi ha insegnato la preghiera d’intercessione.

C’è un incontro o un’esperienza particolare che ha fatto in questi anni di servizio qui a Lourdes che porta nel cuore?
L’esperienza vincente è il sorriso degli ammalati. Se pensiamo, razionalmente, è un’assurdità scarrozzare un’ottantina di sofferenti, in parte gravemente ammalati, per 20 ore in un treno  fino a Lourdes. Spesso ci penso durante l’anno.

Ma poi, quando vedo queste persone a Lourdes, ho subito la risposta, lampante: qui trovano ristoro, consolazione, fede, speranza. È il sorriso degli ammalati che ci porta a Lourdes. E in loro traspare il volto di Gesù.

Lourdes è anche un luogo di incontro tra scienza e fede, se pensiamo ai miracoli. A Lourdes sono state 7000 le guarigioni inspiegabili in oltre 150 anni di storia ma solo 69 i casi che hanno superato l’iter e sono stati definiti miracoli. Cosa dice, a lei che è medico, questo fatto del miracolo?
Guardi, proprio quest’anno, in uno degli incontri di preparazione per Lourdes, abbiamo trattato la questione dei “miracoli”. Lourdes attesta la “guarigione inspiegabile allo stato attuale della scienza”. Questo è quello che fanno il bureau médical e il Comitato medico internazionale. Non si parla di miracolo. Il “miracolo”, caso mai, è attestato dal Vescovo.

Sappiamo che esistono delle guarigioni spontanee anche al di fuori dei luoghi santi. Questo è la natura. A Lourdes però ce ne sono tante. Queste, per me, sono segni di Gesù, come quelli che accadevano nel Vangelo. “Segno” vuole dire che ciò che è primario è sempre la guarigione spirituale dell’anima che poi, raramente, si materializza in una guarigione corporea.

Qui effettivamente si congiungono fede e scienza e sarebbe arrogante voler dare un giudizio. Mi sembra però di capire che a Lourdes il percorso per arrivare a una “guarigione scientificamente inspiegabile” è molto serio.

Proprio perché siamo all’inizio del pellegrinaggio, le chiedo cosa si aspetta, se ha qualche attesa?
Questa è una domanda facile. Non mi aspetto nulla. Cerco di viverlo svuotandomi da ogni aspettativa. Certo, non è possibile non aspettarsi proprio niente. Io spero nell’incontro con Dio, con l’ammalato e con i volontari. 

(di Cristina Vonzun, articolo tratto dal GdP del 18.08.2015)
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